SATAN’S SLAVE [SubENG]
Titolo originale: Pengabdi Setan
Nazionalità : Indonesia
Anno: 2017
Genere: Drammatico, Horror, Thriller
Durata: 107 min.
Regia: Joko Anwar
Nel 1981, una famiglia non molto religiosa vive in una casa d’epoca. Il padre è però costretto a mettere un’ipoteca sulla residenza per pagare le cure per la moglie, un’ex cantante che si è misteriosamente ammalata. Quando la moglie muore, l’uomo decide di lasciare la città ma una serie di strani eventi inizia a terrorizzare la famiglia. Forze malvagie e oscure sono al lavoro per far sì che la madre e i suoi figli possano nuovamente stare insieme. Toccherà alla primogenita Rini proteggere i fratelli per scongiurare il peggio.
Con Satan’s Slaves (Pengabdi Setan), Joko Anwar ha conseguito il più grande successo della sua carriera. Con oltre quattro milioni di biglietti venduti, Satan’s Slaves è infatti il film indonesiano di maggior successo del 2017. Ma questo remake dell’omonimo horror del 1982 diretto da Sisworo Gautama Putra, ha anche siglato una svolta fondamentale nel cinema indonesiano recente, aprendo la strada ad un solido ritorno del genere horror (in crisi creativa e di incassi da qualche anno) e a rinnovate prospettive di esportazione del prodotto locale, nel Sud Est asiatico e oltre.
Si tratta di un progetto che Anwar inseguiva da tempo. Fortunatamente, dopo i consensi internazionali raccolti dal precedente A Copy of My Mind (2015), ha ricevuto il via libera dalla Rapi Films, che aveva già prodotto l’originale, descritto come l’horror indonesiano più terrificante di sempre, e a sua volta rielaborazione di Phantasm (1979) di Don Coscarelli. Da par suo, Anwar non si è accontentato di un pigro copia e incolla, ma si è adoperato ad una riscrittura del materiale d’origine che ne ha ampliato e reso più ricca la portata narrativa.
Innanzi tutto, mentre nell’originale la famiglia vittima degli attacchi di diaboliche presenze dall’oltretomba era composta solo da padre, figlia e figlio, più giardiniere, nella versione 2017 abbiamo ben quattro fratelli, una femmina e tre maschi, di cui l’ultimo è sordo e parzialmente muto. I quattro sono di età diverse e il perché sarà importante scoprirlo nello sviluppo del film. E poi, c’è anche una nonna su sedia a rotelle e la povera madre moribonda che, nella pellicola originale, era protagonista suo malgrado del funerale nell’incipit. A quest’ultima, Anwar dedica invece un bellissimo capitolo iniziale che introduce gli elementi di terrore in maniera graduale, in particolare attraverso l’uso dei suoni, le vecchie canzoni della madre cantante e, soprattutto, il campanello con cui la malata chiama i familiari al suo capezzale.
C’è poi anche la scelta ficcante della location. Se nell’originale, i ricchi protagonisti vivevano in una confortevole villa, Joko Anwar li trasloca in una magione isolata nei boschi a dirimpetto di un cimitero. E come se non bastasse, all’interno di questa baita c’è un pozzo da cui approvvigionarsi d’acqua o scivolare improvvidamente qualora spinti da forze nefaste. L’assurdo, poi, è che il padre, a causa di dissesti economici, vorrebbe vendere la casa e che la famiglia vorrebbe pure lasciarla. Ma come da copione, tutto si oppone alla tranquilla fuoriuscita da tali ambienti malsani.
E laddove l’originale suscita sovente ilarità , sebbene non sia sempre chiaro se intenzionalmente, il correttivo ironico è ben presente nell’adattamento di Joko Anwar (anche a costo di qualche anacronismo: si pensi alla battuta sulle videocamere nella cassa da morto in una storia che si vuole ambientata nel 1981). In tal senso, è doveroso segnalare, senza tema di spoiler, il riposizionamento radicale del personaggio del predicatore islamico, la cui funzione narrativa principale nell’originale viene qui assegnata al personaggio di Budiman, amico di vecchia data della nonna, e investigatore dell’occulto e del satanismo.
Sebbene poi Joko Anwar abbia espunto il personaggio della governante Darminah e la scena dell’esorcismo condotto da un dukun (lo sciamano tradizionale in Indonesia e Malaysia), si noti che nel finale la prima compare in sembianze giovanili (anche se fosse solo un’omonima, il riferimento è chiaro), mentre il compagno di quest’ultima si chiama Batara, come la divinità invocata dal dukun per scacciare i demoni dalla casa.
Qualità della scrittura e complessità della reinvenzione a parte, Satan’s Slaves si distingue anche per una cura della messa in scena, dell’illuminazione e delle scenografie che lo collocano ad un livello altissimo per le produzioni di terrore, non solo in Indonesia. E basterebbe segnalare giusto l’utilizzo fenomenale che Joko Anwar fa di lenzuola e drappi bianchi in un paio di scene immaginifiche (entrambe non presenti nell’originale) per comprendere quanto talento intriso di cinefilia ha dato forma a questo mirabolante successo. E ci auguriamo di cuore che il trionfo di Satan’s Slaves offra ad Anwar le risorse per continuare a creare cinema con inventiva a briglia sciolta.
Recensione: fareastfilm.com
ciao
il link per i sub andrebbe ripristinato